I cappuccini nel sud della Turchia: Tarso, Meschin, Antiochia

La presenza dei Cappuccini

La presenza dei Cappuccini nel sud della Turchia risale a data più recente. Solo nel gennaio del 1845 abbiamo notizie di una dimora di un frate cappuccino in quella zona. Fu precisamente p. Giuseppe da Genova che, dopo aver rinunciato alla carica di Prefetto della Missione di Siria-Libano, se ne era andato a Tarso e vi aveva fondato una Missione (cfr. scheda a pag.62).

01In una sua lettera alla S. Congregazione di Propaganda Fide (27 gennaio 1845) egli scriveva: “… le invio alcuni ragguardi concernenti la nuova missione di Tarso, da me poc’anzi aperta, come già le sarà noto, per speciale incarico che n’ebbi da Mons. Delegato Apostolico…” Missione che si estenderà in poco tempo da Tarso “… nei suoi luoghi adiacenti, come sarebbero Adana e Mersina” (p. Clemente da Terzorio, Missioni dei Cappuccini, vol. V, pagg. 352-353).
Da quesa sua lettera abbiamo anche alcune notizie riguardanti la presenza cristiana di quelle cittadine, oggi grandi città: “In Adana il numero di cattolici che ci sono attualmente può calcolarsi a 20 persone, in Tarso 36 e 5 a Mersina” (Ibidem, pag. 353).
Come egli stesso spiega sono tutte persone provenienti da fuori, presenti là per ragioni diplomatiche o di commercio. La popolazione locale è costtuita principalmente da turchi, pochi greci e un buon numero di armeni ortodossi.

Interessante annotare il numero degli abitanti di quelle città: “la popolazione di Tarso è composta di 6.000 persone (oggi ne fa quasi 300.000), quella di Adana 30.000 (oggi sono forse più di 2 milioni) e quella di Mersina di 1.000 anime (oggi raggiunge quasi il milione). Vi hanno in Tarso l’ordinaria loro residenza il Console di Francia ed altri pro-consoli delle altre diverse nazioni, e in Adana v’à solo la sede del pascià turco ossia governatore di quella provincia” (Ibidem, pag. 353).
A Tarso p. Giuseppe, com’era nello stile dei missionari a quel tempo, acquistò una casa, e costruì una piccola chiesa che fu il centro della missione. Ebbe in ciò l’aiuto del Delegato Apostolico del Libano (inviò 2.500 franchi) e il sostegno di altri amici benefattori. Il governo francese dal canto suo, tramite il consolato, assegnò un reddito annuo di 400 franchi alla nuova Missione.
P. Giuseppe vi rimase sino al 1847 quando, colpito da febbri malariche (la regione era paludosa e d’estate molto afosa), dovette con suo rammarico lasciare Tarso. Lo sostituì p. Antonio da Francavilla della Provincia dei Cappuccini di Messina.

Da Tarso la Missione si estese a Mersina, allora piccolo villaggio, ma destinato a crescere rapidamente, perchè, essendo sul mare, il suo porto divenne punto di attracco di navi commerciali. “I Consoli europei vi stabiliron la loro redidenza e il paese acquistò di giorno in giorno maggior importanza”.

“La Missione si stabilì in Mersina nel 1854, allor quando cioè, il nostro p. Antonio da Francavilla, residente a Tarso, con il permesso del suo Prefetto, abbandonò quell’ospizio per seguire la piccola colonia europea, che si trasferiva in questa città, compreso il consolato di Francia” (Ibidem, pagg. 357-358).
Egli con molte tribolazioni si adoperò per fondarvi la nuova Missione e v’era appena riuscito quando il 17 maggio del 1859, a soli 35 anni moriva stroncato dalle febbri malariche.
Lo assistette con gli ultimi sacramenti un sacerdote maronita residente a Tarso e che assisteva la comunità cattolica in quella città.
“Messo piede a Tarso e a Mersina i nostri padri rivolsero lo sguardo ad Antiochia, città famosa, capitale della Siria…” (Ibidem, pag. 359).

Un frate martire della Provincia di Parma ad antiochia

Fondatore di questa Missione fu un cappuccino emiliano della Provincia di Parma, p. Basilio da Novara che, nato nel 1804, ed entrato in convento nel 1828, terminati gli studi e divenuto sacerdote, chiese di partire per le missioni.
Così ne
Antiochia, campaniletto della chiesa dei Cappuccini e un vecchio minareto in lontananza, un dialogo difficile ma non impossibile.

l 1839 era stato mandato in Turchia, nella missione di Trebisonda. Rimase là tre anni, poi l’obbedienza lo spostò alla Missione di Siria. Dovendo recarsi a Beirut, sua nuova destinazione, nel viaggio di andata passò da Antiochia e qui sostando, rimase impressionato nel constatare come “benchè quasi in ogni luogo vi siano cattolici, pure non dappertutto vi sono sacerdoti. Antiochia la grande, l’antica sede di Pietro, non ha un sacerdote di qualunque rito. Quantunque i cattolici quivi non siano molti, pure per il commercio trovasi sempre altri Europei Levanti cattolici per vari mesi dell’anno, e vivono e muoino senza Messa alla festa, senza istruzione ai loro figli e senza sacramenti.” (Ibidem, pag. 364).
In questi termini egli il 16 maggio 1842 ne scriveva alla S. Sede terminando la sua lettera con la richiesta espressa di poter andare colà “io, se Vostra Eminenza Reverendissima stima bene (si rivolge al Prefetto S. Congregazione di Propagana Fide), io mi esibisco di andarvi, possedendo già sufficientemente l’arabo. E’ vero che colà non havvi ancora nessuna chiesa ed abitazione per un sacedote cattolico. Ma che tanto deve cercare chi deve andare sine pera una casa d’affitto intanto di poca spesa in cui vi sia un salotto per erigervi un altare leggiero, con un modesto paramento, basta.” (Ibidem, pag. 365).

Giunto a Beirut però si ammalò gravemente e i dottori gli consigliarono di tornare in Italia. Così fu fatto e fu imbarcato per Napoli, da dove tornò nella sua Provincia emiliana.
Rimessosi in salute, volle ritornare alla Missione, ma prima si recò a Roma per perorare la sua causa, e là riuscì ad avere l’approvazione e l’incoraggiamento dello stesso papa Pio IX.
Nel 1846 rientrava in Siria e “quivi giunto si presentò al suo Prefetto apostolico e comunicatogli il disegno approvato da Roma, prese anche da lui la benedizione e si recò tosto in Antiochia per dar principio all’importante Missione” (Ibidem pg. 366).
Ad Antiochia riesce a trovare in affitto una piccola abitazione che attrezza parte a scuola per i figli dei pochi europei abitanti in quella città e parte in cappella per celebrarvi la S. Messa. Facendo scuola a stento si guadagnava qualche soldo per mantenersi.

02Di là, ogni tanto, fa anche qualche puntata ad Alessandretta (oggi Iskenderun) ove non c’era nessun sacerdote cattolico, pur essendovi un certo numero di famiglie cattoliche legate ai commerci, perchè città di mare, con un porto altamente trafficato.

“La miseria si affacciava da tutte le parti: e noi dobbiam dire che il buon padre Basilio menava una vita molto stentata; però egli era sempre contento, sempre pronto a recarsi fino a Suedia, in Alessandretta e in altri paesi, ove i cattolici per mancanza di sacerdoti non avevan chi amministrasse loro i sacramenti, chi li fortificasse nella fede con la predicazione, chi li sottraesse dai continui pericoli che correvan di passar allo scisma. Egli era tutto a tutti, visitava gli ammalati, soccorreva i poveri, componeva i dissidi” (Ibidem, pag. 367).

Nel 1851 riuscì a comprare una casa, con l’aiuto del Console di Napoli, e a fondare così una Missione stabile, con una scuola ben frequentata e una graziosa cappella che accoglieva i fedeli cattolici che , per via di conversioni di greci e armeni-ortodossi, cresceva sempre più di numero.
Ma proprio mentre sembrava che tutto viaggiasse per il meglio ci fu chi tramò contro di lui.
Sobillato da alcuni fanatici delle Chiese “scismatiche” (come allora si chiamavano le Chiese ortodosse) il governatore delle città, un certo Omar Effend, fanatico musulmano, forse corrotto anche con denaro sonante, come appare anche da un processo poi eseguito dal Console francese, inviò due sicari per farlo uccidere.
Così p. Basilio il 12 maggio 1851, fu martirizzato nella sua stessa chiesetta e quindi dagli stessi sicari adagiato sul’altare avvolto in un tappeto.
L’allarme fu dato dagli scolari che lo trovarono morto e da alcuni cittadini latini, essendo il p. Basilio l’unico sacerdote cattolico della città.
Non essendovi in città un cimitero cattolico “risolvettero di domandare ai greci il permesso di seppellirlo nel loro cimitero. In quel cimitero era la grotta di S. Pietro apostolo, e quivi, secondo la tradizione, il p. Basilio si recava spesso a far orazione” (Ibidem, pag. 383).
Sepolto in tutta fretta per timore delle reazioni dei turchi, solo vent’anni dopo fu posta una lapide e murata presso la cosidetta grotta di S. Pietro, perchè del corpo di p. Basilio s’era persa memoria del luogo esatto della sepoltura… ”ma i missionari furono concordi nell’asserire che il corpo di p. Basilio fu disseppellito e trafugato“ (Ibidem, pag. 385), per impedire ogni ricerca da parte delle autorità se avessero voluto esumare il corpo per ricostruire il delitto.

03Intanto il conventino fu chiuso e così rimase per lungo tempo.
Nel 1872, il 9 aprile, ad Antiochia ci fu un terribile terremoto che distrusse quasi totalmente la casa dei frati, lasciando illeso per fortuna il Cappuccino che in quel tempo aveva preso dimora colà e cioè il p. Vincenzo da Serravazze. Egli fu un angelo consolatore per tanti tribolati, soccorrendoli come potè. Prefetto della Missione era stato sino a poco tempo prima p. Zaccaria da Catignano, dell’Abruzzo, nominato Vescovo e consacrato il 18 febbraio 1872. Stava per partire per la sua sede in Mesopotamia, quando giunse la notizia del terremoto di Antiochia. Egli “intesa la notizia, corse sul luogo di sventura, si privò di quanto possedeva per il suo viaggio in Mesopotamia, e fece venire da Alessandria dieci sacchi di riso, biscotti e farina, onde salvare dalla morte tanti infelici” (Ibidem, pag. 431).
Dopo il terremoto p. Vincenzo che era anche medico e s’era guadagnata la stima della gente per la sua assistenza a tanti infermi, si adoperò con l’aiuto dei Superiori del Libano per costruire una nuova chiesa e una casa per abitarvi.
La costruzione procedette a rilento per i pochi mezzi economici disponibili. Terminato e inaugurato il nuovo edificio, all’inizio del 1883 il p. Vincenzo moriva, compianto da tutta la città.

La Chiesa di Mersin costruita da un frate di Parma

A Mersina, da noi lasciata al 1859 con la morte di p. Antonio da Francavilla, si succeddettero nel tempo altri missionari, sinché nel 1882 arrivò un Cappuccino della Provincia di Parma: p. Basilio da Barco, che era già stato missionario sul Mar Nero.
Fu proprio il detto p. Basilio, con molti stenti e fatiche, a costruire a Mersina una magnifica chiesa. Egli vi divenne parroco nel 1885 (lo rimase sino al 1907) e il 13 giugno del 1888 riuscì a inaugurare solennemente la chiesa intitolata a S. Antonio di Padova: una chiesa monumentale, ancora oggi funzionante. Vi aprì inoltre grandi scuole e vi chiamò le suore per l’organizzazione della scuola femminile. Egli morì nella sua casa di Mersin il 15 gennaio del 1907.

Un frate di Bologna ripristina la sede ad Antiochia

Ad Antiochia nel 1889 aveva preso dimora un altro confratello della nostra Regione dell’Emilia-Romagna, il p. Eusebio da Ravenna della Provincia di Bologna.
Egli era nato a Ravenna nel 1841 ed era entrato nei Cappuccini nel 1859. Nel 1870 era stato inviato missionario in Tunisia, di là era passato in Turchia nella Missione di Mesopotamia (1874) e poi nel 1883
L’odierno conventino di Antiochia con riquadro dell’interno della chiesetta.

in quella di Siria. Destinato appunto nel 1889 ad Antiochia vi rimase alcuni anni, sino al 1896, sino a quando, colto da malattia si dovette ritirare nel convento di Gazir in Libano ove morì, da tutti ammirato per la pazienza nelle molte sofferenze il 14 giugno del 1916.
Nel suo soggiorno ad Antiochia egli si dedicò anche all’evangelizzazione dei villaggi all’intorno della città, fondando una nuova presenza missionaria nel villaggio di Kordebek, con la conversione al cattolicesimo di 30 famiglie armene (10 aprile 1881). Presso il villaggio rimane un Cappuccino, p. Bernardino da Canetra, e l’anno seguente lo raggiunse, in aiuto, un secondo frate: p. Fedele da Trieste, alunno dell’Istituto d’Oriente.
La Missione di Siria, come si vede, si stava allargando e necessitavano di nuovi missionari, man mano che quelli presenti invecchiavano o morivano.
Fu così che nel 1903, il generale dell’Ordine, con l’approvazione della S. Sede, affidava la missione di Siria, che comprendeva il Libano, la Siria e il sud della odierna Turchia alla Provincia di Lione, la quale inviava in quella regione unitamente al nuovo Prefetto, p. Girolamo da Lione, 15 missionari in un colpo solo.

04Così dopo quasi tre secoli la Missione ritornava ai frati francesi che, come si vide, ne erano stati i fondatori al tempo del p. Giuseppe da Tremblay.
Continueranno a gestire e provvedere frati per il sud della Turchia, sostituiti poi dai frati libanesi sino al 1963, quando il Generale dei Cappuccini distaccò le due stazioni di Mersina e Antiochia (Tarso era già stata chiusa) dalla giurisdizione del Libano e le affidò ai Cappuccini della Provincia di Parma già presenti sul Mar Nero, a Izmir e a Istanbul. Tutte le stazioni missionarie di Turchia venivano così inserite nell’unica Missione dei Cappuccini di Parma.

I cappuccini partono da Aleppo

L’ aperture della Missione nel sud della Turchia, come quella dell’est (cfr. articolo di pagina 32) è legata alla Siria, e precisamente alla città di Aleppo che ne era il centro (più tardi il centro della Missione sarà Beirut), perchè là era la sede del Prefetto della Missione.
A quei tempi tutta la zona era inclusa nell’Impero Ottomano e Aleppo era sicuramente la città importante più vicina a quella regione.
Ad Aleppo i Cappuccini erano giunti nel 1626 inviati da p. Giuseppe da Tremblay con l’intento di farli giungere sino in Persia. Erano tre missionari: il p. Pacifico da Provins, p. Pacifico da Parigi e p. Gabriele da Parigi.
Così scriveva il p. Pacifico da Provins il 24 novembre del 1626:
“Sbarcati felicemente a Sayda o Sidonia passammo per Damasco, insomma adesso siamo giunti in Aleppo, dove trovammo il passo chiuso per la Persia, per causa dell’armata turca contro Babilonia, la quale sebbene ha levato l’assedio con gran vituperio, tuttavia sta in disordine qui attorno la frontiera, e per forza mi son fermato in questo luogo, dopo tre mesi per aspettar comodità del passo, ove per grazia d’Iddio siamo stati ricevuti con accoglienza e amorevolezza particolare, non solo dai consoli francesi et Venetiani, ma anche da tutti li Franchi cattolici, et heretici et anche alcuni superiori scismatici che son venuti tre o quattro volte in casa per visitarci.” (cfr. p. Clemente da Terzorio, vol V, pag. 14).
Il 21 dicembre del 1626 i frati comprarono una casetta e, costruendo all’interno una piccola cappella, fondarono quella Missione. Nel febbraio del 1627, completata la cappella cominciarono il loro apostolato tra la gente. Non solo, ma in quello stesso anno, con l’aiuto di due francesi che erano alla corte del Visir, ebbero anche un firmano (atto giuridico che sanciva la loro proprietà e il permesso di avere una chiesa) che garantiva colà la loro presenza.
Il firmano è del 15 aprile del 1627.
“Così la Missione di Aleppo messa all’ombra di un firmano, non ebbe più a temere della sua vita” (Ibidem pag. 23).
Da questa stazione missionaria come già si vide, partirà la spedizione verso la Persia nel 1628 e da cui nacque poi la missione di Mesopotamia, all’est della Turchia.
E’ sempre da Aleppo che a metà del XIX secolo partirono i missionari che fondarono le missioni di Tarso, Mersin, Antiochia.