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SEBASTE oggi SIVAS SebasteSebaste, divenuta Sivas dal 1071 dopo la conquista dei Turchi, fu sin dall’antichità un importante centro commerciale sulla grande via che congiunge l’Anatolia alla Persia. Purtroppo non resta quasi nulla dell’epoca romana e bizantina, mentre la città conserva ottimi monumenti della sua storia medioevale, soprattutto dell’epoca selgiuchide.

Nell’odierna Sivas, ricca di monumenti risalenti perlopiù alla dominazione selgiuchide (sec. XIII), nulla resta del suo più remoto passato.
Lo sviluppo come anche il benessere economico di cui sempre godette, è da riferire alla sua posizione particolare, punto di convergenza delle principali vie tra il Mar Nero, l’Eufrate e il Mediterraneo.  Questa assenza di testimonianze archeologiche trova giustificazione nel fatto che Sebaste fu sempre abitata. Lo sviluppo come anche il benessere economico di cui sempre godette, è da riferire alla sua posizione particolare, punto di convergenza delle principali vie tra il Mar Nero, l’Eufrate e il Mare Mediterraneo. Originariamente inclusa nel regno indipendente di Urartu, Sebaste appartenne poi ai Persiani e in seguito, pur essendo sotto il protettorato romano, fu retta da una dinastia locale. Con la scomparsa di Deiotaro, ultimo re dell’Armenia († 40 a.C.), la regione fu costituita in provincia dell’impero romano, in seguito ripartita ulteriormente in due province.
Sotto Diocleziano Sebaste assurse a metropoli dell’Armenia Prima (fine III secolo) e con Giustiniano (527-565) che ne restaurò le mura, fu eretta a capitale dell’Armenia Seconda. Quantunque da un punto di vista archeologico Sebaste non presenti alcun interesse, non si può dire altrettanto per le memorie cristiane scritte. Da esse apprendiamo che probabile vescovo di Sebaste fu, intorno al 260, un certo Meruzane. Come Eusebio riferisce, Dionigi di Alessandria « scrisse una lettera Sulla penitenza ai fratelli di Armenia che avevano per vescovo Meruzane » (H.E., VI,46,2). In quel tempo 40 soldati appartenenti alla legione Fulminata furono arrestati perché cristiani e posti nell’alternativa di apostatare o di subire la morte. Ora in questo tempo Sebaste era metropoli dell’Armenia. Le nostre conoscenze si ampliano a partire dalla persecuzione di Licinio (320-324). In quel tempo 40 soldati appartenenti alla legione Fulminata furono arrestati perché cristiani e posti nell’alternativa di apostatare o di subire la morte. Rimasti fedeli alla loro fede, vennero condannati alla crudele pena di essere esposti nudi ai rigori del gelo invernale particolarmente pungente in questa regione.
thumbs_eteria_pagina_40_immagine_0001-2Il martirio ebbe luogo il 9 di marzo nel cortile del ginnasio annesso alle terme della città. Melezio, forse il capo del gruppo, apostatò ma il suo posto venne preso dal custode delle terme. Dal prezioso documento che è il Testamento dei 40 martiri, apprendiamo che allora, nei piccoli paesi dell’Armenia, il cristianesimo di stampo ellenistico non era meno diffuso che in Cappadocia [1]. Forse ancora sotto Licinio, a Sebaste fu decapitato S. Biagio. Presumibilmente ancora sotto Licinio, a Sebaste fu decapitato Biagio. I suoi Atti, tardivi e leggendari, lo presentano come medico divenuto poi vescovo della città. Scoppiata la persecuzione, si nascose, ma venne catturato. Un giorno, una donna il cui figlio stava morendo a causa d’una lisca di pesce conficcatasi in gola, lo visitò in carcere e gli chiese aiuto. La benedizione di Biagio guarì immediatamente il fanciullo. Questo, come altri episodi ricorrenti negli Atti, giustificano la larghissima diffusione del culto riservato a Biagio, assunto quale patrono contro i mali di gola e — a motivo d’un altro miracolo — come patrono del bestiame.
Dopo la metà del IV secolo, fu vescovo della città il famoso Eustazio, maestro di Basilio. In Germania, l’assonanza del suo nome con il verbo blasen (soffiare), ha fatto di Biagio il protettore dei suonatori di strumenti a fiato. Nella guida della Chiesa di Sebaste pare gli sia subentrato Pietro I, menzionato negli Atti dei Santi 40 martiri, perché ne raccolse le reliquie. Suo successore, dopo la metà del IV secolo, fu il famoso Eustazio, maestro di Basilio. Nato verso il 300 circa, egli fu l’iniziatore dell’ascetismo in Asia Minore. Formatosi in Egitto dove conobbe Ario, Eustazio, divenuto nel frattempo sacerdote, fu condannato e deposto dal concilio di Gangra (340) e da quello di Antiochia (341) a motivo del suo ascetismo estremo. Nonostante la condanna, la Chiesa di Sebaste lo scelse quale vescovo (prima del 357). L’amicizia che lo legava al discepolo Basilio, divenuto vescovo di Cesarea, si ruppe a motivo di uno scisma scoppiato ad Antiochia nel quale i due si trovarono su sponde opposte. In questa circostanza Eustazio accusò il suo antico discepolo (373) che, dopo inutili tentativi di rappacificazione, passò al contrattacco.

 

thumbs_eteria_pagina_44_immagine_0001Alla morte di Eustazio gli successe Pietro, fratello minore di Basilio  Nella Lettera 228 Basilio così esordisce: « C’è un tempo per tacere e c’è un tempo per parlare: è un’affermazione dell’Ecclesiaste. Pertanto anche ora, dal momento che è stato sufficientemente lungo il tempo del silenzio, è tempo ormai di aprire la bocca per dimostrare la verità su ciò che si ignora… Abbiamo represso nel profondo del cuore il silenzio provocato in noi dalla calunnia… Ritenevo che non per malvagità ma per ignoranza della verità fossero state dette quelle parole contro di noi… Voglio tacere chi mi sia stato dato come custode e guida nella vita, sotto forma di aiuto e di compagno nella carità… ». Alla morte di Eustazio (380 ca.), come vescovo di Sebaste gli successe Pietro, fratello minore di Basilio. Questi, prima di essere eletto vescovo, aveva retto il monastero maschile situato nella proprietà della sua famiglia ad Annesi, presso il fiume Iris. In una lettera indirizzata all’altro fratello, Gregorio di Nissa, difese la memoria di Basilio che un giorno, scrivendogli, lo aveva chiamato amatissimo e religiosissimo conpresbitero (Lettera 205). L’importanza della Chiesa di Sebaste in epoca successiva si accrebbe al punto che dal 640 in poi essa fu costituita metropoli ecclesiastica dell’Armenia I.

NOTE DI VIAGGIO

COME CI SI ARRIVA
Capoluogo di provincia dell’Anatolia centrale, Sivas è attraversata dalla E23 che daAnkara giunge fino all’estremo est della Turchia.

Distanze:
da Ankara km 448
da Erzincan km 252
da Kayseri km 193

Provincia: Sivas
Aeroporto: Sivas

LUOGHI E MONUMENTI INTERESSANTI
* Çifte Minare Medresesi, con i suoi suggestivi minareti eretti ai lati di un bel portale della scuola coranica, in stile selgiuchide.
Şifahiye Medresesi, antico ospedale selgiuchide del XII sec., presenta un portale riccamente ornato.
* Gök Medrese (Madrasa Azzurra), del 1271, è fra le migliori testimonianze dell’arte selgiuchida; oggi ospita un piccolo museo.

FONTI STORICHE

TESTAMENTO DEI SANTI E GLORIOSI QUARANTA MARTIRI DI CRISTO MORTI A SEBASTE
Melezio, Aezio ed Eutichio, prigionieri di Cristo, ai santi vescovi di tutta la città e la regione, a tutti i presbiteri, diaconi, confessori, e a tutti gli altri membri della Chiesa, salute in Cristo. Quando noi per la grazia di Dio e per le comuni preghiere di tutti avremo compiuto la imminente prova e saremo giunti al premio della celeste chiamata, vogliamo che sia ratificata questa nostra volontà: che le nostre spoglie mortali siano raccolte dai ministri del presbitero e padre nostro Provido e dai fratelli nostri Crispino e Gordio col concorso del popolo, e da Cirillo e Marco e Sapricio figlio di Ammonio, e che le ceneri nostre siano deposte presso la città di Zela nella regione di Sarim. Sebbene noi tutti siamo provenienti da diversi paesi, ci siamo scelto un solo e identico luogo di riposo: e poiché abbiamo sostenuto in comune la prova per raggiungere il premio, abbiamo stabilito che ci sia dato in comune il riposo nel luogo sopra detto: così parve bene allo Spirito Santo1 e così piacque a noi. Pertanto noi che stiamo con Aezio ed Eutichio e con gli altri nostri fratelli in Cristo, esortiamo i nostri rispettivi genitori e fratelli ad astenersi da ogni cordoglio e agitazione, a osservare la legge della unione fraterna e a conformarsi diligentemente alla nostra volontà, affinché possiate ricevere dal nostro Padre comune il premio grande dell’ubbidienza e della partecipazione ai nostri patimenti. Similmente chiediamo a tutti che quando le nostre spoglie saranno tolte dal forno crematorio, nessuno se ne prenda una parte per sé, ma la consegni alle persone sopra nominate, provvedendo così alla loro riunione in un sol luogo sicché, dimostrando costante sollecitudine e incorrotta saggezza, ognuno possa riportare la ricompensa di essere stato a parte dei nostri dolori: come Maria che avendo perseverato presso il sepolcro di Cristo, e avendo prima di ogni altro veduto il Signore, per la prima ricevette la grazia della beatitudine e della benedizione. Se poi alcuno agirà contro il nostro desiderio, sia escluso dalla ricompensa divina e pienamente colpevole di disobbedienza: perché con perverso proposito2 ha violato la giustizia, tentando, per quanto dipendeva da lui, di separare noi che fummo congiunti insieme da speciale favore e provvidenza del nostro augusto Salvatore. E se per la grazia del buon Dio anche il fanciullo Eunico raggiungerà lo stesso termine della prova, avrà diritto con noi alla stessa sepoltura; se invece sarà serbato illeso per la grazia di Cristo e la sua fede dovrà ancora essere provata nel mondo, lo incoraggiamo ad assistere liberamente al nostro martirio e lo esortiamo a osservare i comandamenti di Cristo, affinchè nel gran giorno della resurrezione sia partecipe con noi dello stesso premio, perché anche restando nel mondo avrà condiviso con noi gli stessi patimenti. Poiché la compassione verso il fratello rispecchia la giustizia di Dio, invece la disobbedienza verso i proprii consanguinei3 calpesta il precetto divino, come sta scritto: Chi ama l’ingiustizia odia l’anima sua4. E ora, fratello Crispino […]5 vi prego e vi esorto a mantenervi estranei da ogni mollezza e finzione mondana. La gloria del mondo è caduca e non permane a lungo: per un poco fiorisce e poi si dissecca come fieno, disparendo prima ancora di essere apparsa.Ma studiatevi piuttosto di correre incontro al buon Dio: egli offre ricchezza inesauribile a quanti accorrono verso di lui, e a quanti in lui credono prepara un premio di vita eterna. Questa è l’occasione opportuna per chi vuole salvarsi: essa offre copioso anticipo al termine di scadimento per la penitenza6 e propone norma fissa di condotta che non si può eludere con vani pretesti da quanti non sogliono rimandare le cose al futuro. Infatti è imprevedibile il giorno della morte: ma se tu l’hai potuto prevedere, mira al tuo vantaggio, e fa di poter allora mostrare la tua intemerata pietà, sicché sorpreso da morte in quella, possa cancellare la sentenza dei tuoi peccati, secondo quello che è scritto: Come ti avrò trovato, ti giudicherò7. Studiatevi adunque di essere trovati incensurabili rispetto ai precetti di Cristo, per sfuggire il fuoco implacabile ed eterno, poiché il tempo è breve8, grida da antico la voce di Dio. Soprattutto poi onorate la carità, perché essa sola onora la giustizia obbedendo a Dio secondo la legge dell’amore. E veramente, per mezzo del fratello visibile si onora l’invisibile Iddio9: parole rivolte ai suoi figli di una stessa madre, sentenza applicabile però a tutti quanti amano Cristo. E il nostro Salvatore e Dio ha detto che sono fratelli coloro che pur senza essere legati da vincolo di sangue, sono insieme uniti in santità di azione nella comune fede, compiendo a pieno la volontà del Padre nostro che è nei cieli. Salutiamo il venerando presbitero Filippo con Procliano, Diogene e la loro Chiesa. Salutiamo il venerando Procliano che sta nella regione di Fidela insieme con la santa Chiesa di colà e i suoi membri. SalutiamoMassimo con la sua Chiesa,Magno con la sua Chiesa. Salutiamo Domno con i suoi, Ile nostro padre e Valente, insieme con la loro Chiesa. Io Melezio poi saluto i miei parenti, Lutanio, Crispo e Gordio coi loro cari, Elpidio coi suoi, Iperichio coi suoi. Salutiamo anche quelli del paese di Sarim, il presbitero coi suoi, i diaconi coi loro cari,Massimo coi suoi, Esichio coi suoi, Ciriaco coi suoi. Salutiamo per nome tutti quelli di Chaduthì. Salutiamo anche quelli di Charisphone tutti per nome. Io Aezio saluto i miei parenti Marco e Acilina, il presbitero Claudio, i miei fratelli Marco, Trifone, Gordio e Crispo, le mie sorelle e la mia consorte Domna col mio figliolino. Io Eutichio saluto quelli di Simaro, mia madre Giulia, i miei fratelli Cirillo, Rufo, Riglo, Cirilla e la mia fidanzata Basilia, i diaconi Claudio, Rufìno e Proclo. Salutiamo anche i servi di Dio Saprizio figlio diAmmonio, Genesio e Susanna coi loro cari. Infine vi salutiamo tutti ciascuno di noi singolarmente, a nome dei quaranta fratelli e compagni di prigionia tutti, cioè Melezio, Aezio, Eutichio, Cirione, Candido, Aggia, Gaio, Cudione, Eradio, Giovanni, Teofilo, Sisinio, Smeraldo, Filottèmone, Gorgonio, Cirillo, Severiano, Teodulo, Nicallo, Flavio, Xantio, Valerio, Esichio, Domiziano, Domno, Eliano, Leonzio detto anche Teotisto, Eunico, Valente, Acacio, Alessandro, Vicrazio detto anche Vibiano, Prisco, Sacerdone, Ecdicio, Atanasio, Lisimaco, Claudio, Ile e Melitone. Noi veramente, i quaranta prigionieri del Signore Gesù Cristo, abbiamo qui sottoscritto per mano diMelezio uno di noi, e abbiamo approvato quanto è scritto, come conforme al pensiero di tutti noi. Animati da spirito divino preghiamo di potere tutti ottenere i beni eterni di Dio e il regno di lui, ora e nei secoli dei secoli. Amen.
1 Cioè; tale fu l’ispirazione del Signore.
2 Leggo col Lambeckmiarò bulemati invece dimikrò b. adottato da Bonwetsch-Knopf.
3 Probabilmente Eunico era figlio di uno dei Martiri, forse di Melezio.
4 Sal 10,5. 5 Dopo queste parole vi è nel testo una lacuna; probabilmente seguivano al nome di Crispino i nomi di altre persone, certo il nome di Gordio, che anche in principio (v. sopra) è associato a quello di Crispino.
6 L’occasione del martirio sostituiva ogni altra penitenza non intieramente compiuta.
7 Questa sentenza è tolta da un testo apocrifo perduto. (Cfr.Resch, Agrapha, Logion 39).
8 1 Cor 7,29.
9 Così espressa questa sentenza deriva forse da un ignoto testo apocrifo; ma corrisponde per il senso al contesto di 1 Gv, 4,20: Se uno dice « io amo Dio », e odia il suo fratello (cioè il prossimo) dice menzogna; poiché se uno non ama il fratello, che egli vede, non può amare Dio, che egli non vede.
(in Atti dei martiri, a cura di S. Colombo, Torino 1928)