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TARSO oggi TARSUS QuesTarsota città, oggi in grande sviluppo industriale oltre che agricolo (ha ormai quasi 300.000 abitanti) non può che richiamare alla nostra mente il nome del grande san Paolo, e ognuno sogna di ritrovare in questa città qualcosa che ricordi la vita e la casa dell’Apostolo delle genti. Purtroppo del tempo di san Paolo e dell’epoca romana non rimane quasi nulla, anche se recentemente (negli anni ’90) è venuta alla luce un tratto splendido di strada romana con colonne e negozi e si conserva la tradizione di un pozzo di san Paolo nell’antico quartiere giudaico. Più volte distrutta e alluvionata dal vicino fiume Cidno, il livello attuale del suolo è di qualche metro sopra l’antica città. Possibili resti sono perciò nel sottosuolo.

Tarso era la principale città portuale della Cilicia, posta presso il fiume Cidno, che ne attraversava in parte l’abitato, distante 20 km dalla costa e a 50 km a sud della catena del Tauro. Intorno al 2300 a.C. cominciò a diventare un importante centro marittimo di commercio.
thumbs_eteria_pagina_43_immagine_0001Nell’antichità fu forse la capitale della regione, e nei testi hittiti appare come come Tarša.  Nel II millennio a.C. fu forse la capitale della regione, che nei testi hittiti appare come la regione di Kizzuwatna e la sua città principale come Tarša. Tarso passò successivamente sotto il dominio degli Assiri, dei persiani, dei macedoni e dei Seleucidi di Siria. Annessa a Roma nel 67 a.C. per opera di Pompeo, ricevette in seguito da Antonio lo status di città libera e l’immunità, essendo dotata di costituzione timocratica e richiedendo una tassa di 500 dracme per l’esercizio dei diritti civili. Fece parte della provincia romana di Siria fino a quando, sotto Adriano, la Cilicia fu costituita in provincia a sé stante con capitale Tarso.
Una strada, verso il sudest, collegava Tarso con Alessandria di Egitto, passando per Antiochia sull’Oronte e toccando le principali città costiere della Palestina. È in quest’epoca che la città ebbe il suo massimo splendore. La sua prosperità era dovuta sia alla fertilità della pianura circostante e all’industria della filatura del lino, nonché della tessitura della tela per le tende, sia al fatto di trovarsi al centro di una meravigliosa rete stradale, che la collegava con le capitali delle sei province vicine. Una strada portava a Efeso passando per l’altopiano anatolico. Una diramazione di questa portava ad Ancira, capitale della Galazia, e di qui alle sponde del Mar Nero. Un’altra strada, in direzione sud-est, collegava conAlessandria di Egitto, passando per Antiochia sull’Oronte e toccando le principali città costiere della Palestina. In piena città poi era stato creato un porto, dove, navigando il Cidno, vi approdavano navi di medio tonnellaggio [1].

 

 

thumbs_eteria_pagina_44_immagine_0001-1Non possiamo passare sotto silenzio alcuni fatti salienti della storia di Tarso. QuiAlessandroMagno cadde gravemente malato per essersi imprudentemente bagnato nelle acque fredde del Cidno (333 a.C.), ma venne salvato.Ancora qui soggiornò Cicerone nel 50-52 a.C. come governatore della Cilicia, lasciandovi un ottimo ricordo per la sua liberalità.  Qui Antonio ebbe il suo celebre incontro con Cleopatra.  Qui Antonio ebbe il suo celebre incontro con Cleopatra, che vi giunse navigando il fiume in grande pompa [2]. Qui passò pure Cesare nel 47 a.C. Al tempo del Nuovo Testamento Tarso era pure nota come un intenso centro culturale, ove fiorivano soprattutto le scuole di filosofia e di retorica, e tra i suoi cittadini famosi poteva annoverare i filosofi stoici Atenodoro e Nestore. La città, però, dal punto di vista della cultura era ancora profondamente orientale nelle sue forme di vita, nei suoi culti e nei costumi, sebbene sul piano dell’organizzazione civile apparisse come una città ellenistica. Aveva infatti una popolazione estremamente cosmopolitica, in cui gli elementi propriamente anatolici convivevano con altri di origine greca, romana, orientale in genere e giudaica.
 Il suo figlio più illustre, Paolo di Tarso, detto anche Saulo, nacque tra il 5 e il 10 d.C. Tra questi ultimi spiccava la locale diaspora giudaica, assai numerosa, bene organizzata nella propria vita interna, e ivi insediata da lungo tempo. Essa ebbe l’onore di dare i natali al suo figlio più illustre: Paolo di Tarso, detto anche Saulo, che ivi nacque tra il 5 e il 10 d.C. Egli stesso andrà fiero di essere tarsense e lo dichiarerà pubblicamente all’autorità militare romana: « Io sono un Giudeo di Tarso di Cilicia, cittadino di una città non certo senza importanza » (At 21,39). Paolo ci dà pure il proprio autoritratto di giudeo della diaspora: « Circonciso l’ottavo giorno, della stirpe d’Israele, della tribù di Beniamino, ebreo da ebrei, fariseo quanto alla Legge; quanto a zelo, persecutore della Chiesa; irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della Legge » (Fil 3,5-6). Da queste affermazioni risulta che egli apparteneva ad una famiglia giudaica di origine palestinese, la quale usava ancora la lin- gua aramaica, a differenza dei giudei ellenisti. san Girolamo conosceva una tradizione, che indicava Giscala in Galilea come la città degli avi di Paolo. Questo spiega la rigida ortodossia religiosa della famiglia, che si esprimeva in un grande zelo per la Legge e la tradizione dei padri.
 thumbs_eteria_pagina_44_immagine_0002san Girolamo conosceva una tradizione, che indicava Giscala in Galilea come la città degli avi di Paolo. Per proseguire la sua formazione Saulo fu mandato, ancora ragazzo, a Gerusalemme. È ancora lui, che ci parla di questi anni giovanili: « Io sono un giudeo, nato a Tarso in Cilicia, ma cresciuto in questa città, formato alla scuola di Gamaliele nelle più rigide norme della legge paterna, pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi. Io perseguitai a morte questa nuova dottrina arrestando e gettando in prigione uomini e donne, come può darmi testimonianza il sommo sacerdote e tutto il collegio degli anziani. Da loro ricevetti lettere per i nostri fratelli di Damasco e partii per condurre anche quelli di là come prigionieri a Gerusalemme, per essere puniti » (At 22,3-5).
Non sappiamo se iniziò l’attività persecutoria contro la Chiesa mentre era ancora a Gerusalemme, ultimati ormai gli studi rabbinici, oppure al ritorno in Palestina, dopo un breve soggiorno in patria. Egli rimase nella sua città natale circa quattro anni, fino a quando, Barnaba venne a cercarlo per chiedere il suo aiuto nell’evangelizzazione di Antiochia di Siria. È certo comunque che Saulo ritornò a Tarso quando, venuto a Gerusalemme dopo la conversione per incontrare gli Apostoli, e Pietro in particolare, dovette fuggire a causa di una congiura tesagli da parte dei Giudei ellenisti (At 9,30). Egli rimase nella sua città natale circa quattro anni, fino a quando, cioè, Barnaba venne a cercarlo per chiedere il suo aiuto nell’evangelizzazione di Antiochia di Siria (At 11,25).
thumbs_eteria_pagina_47_immagine_0001In seguito non si hanno più riferimenti espliciti di suoi ritorni a Tarso. Con ogni probabilità vi ripassò nel suo secondo viaggio missionario in compagnia di Sila, quando attraversò la Siria e la Cilicia (At 15,41), e nel viaggio successivo, quando daAntiochia di Siria puntò verso le regioni della Galazia e della Frigia (At 18,23).La tradizione vuole che primo vescovo di Tarso sia stato Giasone, parente e discepolo di Paolo (cfr. Rm 16,21). Possediamo notizie storiche più attendibili dalla seconda metà del III secolo, quando a capo di questa Chiesa compare Eleno. All’interno della comunità di Tarso, come del resto in tutta la regione, Eleno dovette fare i conti con il gruppo scismatico dei novaziani.  Il suo nome è richiamato un paio di volte dal vescovo Dionigi di Alessandria († 264 o 265). Dal modo con cui questi lo nomina, è verosimile ritenere che Eleno fosse metropolita della Cilicia e che già in quel tempo la Chiesa di Tarso avesse un certo numero di vescovati suffraganei (cfr. Eusebio, H.E.,VI, 46; VII,5). Del resto la città anche politicamente era capitale della provincia.
Ancora Dionigi ci informa che papa Stefano non accettò la comunione con Eleno, poiché questi, allineatosi con Cipriano di Cartagine, Firmiliano di Cesarea e tutti i vescovi della Cilicia, Cappadocia e Galazia, ammetteva alla Chiesa gli eretici a condizione di ribattezzarli (Eusebio, H.E., VII,5,4). All’interno della comunità di Tarso, come del resto in tutta la regione, Eleno dovette fare i conti con il gruppo scismatico dei novaziani, teso a predicare e diffondere una Chiesa di puri, eroica e in conflitto con il mondo.Ancora al suo tempo ebbe luogo la persecuzione di Valeriano (260-263). Non possiamo poi ignorare i numerosi cristiani che, provenienti da diverse regioni, furono deportati nelle miniere della Cilicia Il nome di Eleno compare ancora nei due sinodi tenutisi ad Antiochia (264 e 272), dove il vescovo della città, Paolo di Samosata, fu condannato e deposto. Nel secondo sinodo fu Eleno a tenere la presidenza. Anni più tardi, a capo della Chiesa troviamo Lupo, che partecipò al sinodo di Ancira (314).
In antecedenza la comunità cristiana era stata duramente provata dalla persecuzione di Diocleziano. Tra i martiri più noti vanno ricordati Giulitta e il figlio Quirico, entrambi originari di Iconio. Non possiamo poi ignorare i numerosi cristiani che, provenienti da diverse regioni, furono deportati nelle miniere della Cilicia. Come Eusebio ricorda: « Nelle miniere della Cilicia furono deportati molti cristiani, anche da regioni lontane… I fratelli di Egitto avevano scortato i confessori in Cilicia, sino alle miniere di quel paese » (Martiri della Palestina, 10,1.11,6). Il periodo di dura prova ebbe termine quando l’Augusto Massimino Daia, acerrimo persecutore del cristianesimo e restauratore della religione pagana, sconfìtto da Licinio, morì fuggiasco proprio a Tarso (313).  Nel 363 a Tarso soggiornò l’imperatore Giuliano l’Apostata. L’accoglienza festosa riservatagli dalla popolazione pagana lo toccò profondamente Al concilio di Nicea il gruppo dei vescovi della Cilicia era guidato da Teodoro di Tarso. Il fatto che costoro fossero non meno di nove, più un corepiscopo (vescovo di campagna), lascia intravvedere come in questa provincia il cristianesimo avesse trovato notevole espansione.
thumbs_eteria_pagina_50_immagine_0001-2Nel 363 a Tarso soggiornò l’imperatore Giuliano l’Apostata. L’ac- coglienza festosa riservatagli dalla popolazione pagana lo toccò profondamente. Recatosi in seguito adAntiochia e avendovi trovato un ambiente ostile, Giuliano espresse la volontà di tornarsene a Tarso, una volta terminata la guerra contro i Persiani. Di fatto vi tornò, ma non da vivo. Ferito mortalmente da un giavellotto in territorio persiano, « fu portato a Tarso cadavere e qui inumato in un sobborgo secondo le sue ultime volontà » (Ammiano, Historia Augusta, XXIII, 2, 4- 5). Nel suo proposito di restaurazione pagana gli riuscì comunque di far riaprire a Tarso un famoso santuario dedicato ad Asclepio. Nondimeno la rinascita di questo paganesimo non sopravvisse a lungo alla scomparsa di Giuliano. Accanto a queste provocazioni esterne, la comunità cristiana di Tarso subì nel IV secolo la lacerazione prodotta dai gruppi contrapposti di niceni e di ariani.  La comunità cristiana di Tarso subì nel IV secolo la lacerazione prodotta dai gruppi contrapposti di niceni e di ariani.  Questi ultimi, forti dell’appoggio imperiale, riuscirono a far deporre il vescovo locale, Silvano, (dopo il 360) e a insediarvi un loro candidato. Dinanzi al persistere di questa situazione, nel 369/370, Basilio di Cesarea esprimerà il suo rincrescimento in una lettera a Eusebio di Samosata: « Anche Tarso » scrive « è andata perduta per noi. E non è qui tutto il male, sebbene già questo sia intollerabile: una cosa ancora peggiore è che una tale città, che ha tanta felicità da riunire in sé Isauri, Cilici, Cappadoci e Siri, sia divenuta, per la stoltezza di uno o di due uomini, ministra di rovina, mentre voi eravate esitanti e vi consultavate e vi guardavate l’un l’altro » (Lettera 34).
Per ripristinare la pace in questa Chiesa, Basilio scrisse due lettere (372): una ai presbiteri e un’altra a un gruppo di persone raccolte attorno a un certo Ciriaco. La tensione creatasi pare risolta al tempo dell’elezione di Diodoro a vescovo della città. Questi, originario diAntiochia, fu allievo di Silvano di Tarso e di Eusebio di Emesa. Posto a capo di una comunità monastica nei pressi di Antiochia, divenne successivamente maestro della scuola teologica qui esistente e contò tra i suoi allievi Teodoro di Mopsuestia e Giovanni Crisostomo. Fu fermo oppositore di Giuliano l’Apostata, il quale, in una lettera scritta al vescovo eretico Fotino di Sirmio, tra l’altro afferma: « Tu, almeno, Fotino, salvi le apparenze e resti vicino alla salvezza guardandoti ragionevol- mente dall’introdurre nel ventre di una madre colui che tu prendi per un dio. Quanto a Diodoro, questo mago dei Nazareni (= Cristiani), che dissimula delle assurdità sotto i vivaci colori del suo trucco, egli s’è mostrato l’abile sofista d’una religione rustica… Noi mostreremo le sue debolezze e come egli snatura le leggi, le dottrine e i misteri dei Greci come gli dèi infernali; noi faremo vedere che il suo nuovo dio Galileo (= Cristo), al quale le sue menzogne attribuiscono l’eternità, in realtà si trova—per l’ignominia della sua morte e sepoltura—escluso dalla divinità che Diodoro inventa per lui » (Lettera 90).  Per consenso comune, Diodoro è considerato come il vero iniziatore di quella scuola esegetica antiochena. La fermezza mostrata con Giuliano, Diodoro la mantenne con gli ariani: questa la ragione dell’esilio cui fu condannato dall’imperatore Valente (372). Alla morte di quest’ultimo fu riabilitato e, di lì a poco, eletto vescovo di Tarso (378). Al concilio di Costantinopoli del 381 ebbe una parte di rilievo. Morì nel 394. Per consenso comune, Diodoro è considerato come il vero iniziatore di quella scuola esegetica antiochena che preferenziava l’interpretazione storica della Scrittura a quella allegorica, ritenuta un procedimento arbitrario e lesivo dei testi sacri. Da un punto di vista dottrinale, pare che egli abbia rilevato al massimo la distinzione in Cristo tra l’umanità (Figlio di Maria) e la divinità (Figlio di Dio). Non meraviglia che in seguito sia stato considerato l’antesignano di Nestorio. Comunque, fintanto che visse, godette della stima e della considerazione universale. Nel V secolo la Chiesa di Tarso fu implicata nella disputa nestoriana. Essa gravitava infatti nell’ambito del patriarcato di Antiochia, che per un certo tempo sostenne le posizioni del prete antiocheno Nestorio, divenuto vescovo di Costantinopoli. Va ricordato che Elladio, vescovo di Tarso e amico di quest’ultimo, fu uno degli ultimi a sottoscriverne—sia pure a malincuore — la condanna. Ma questo era il prezzo da pagare per riportare pace tra il patriarcato alessandrino e quello antiocheno. Dopo la presa di Tarso da parte degli Arabi (613) e verso la fine del secolo VII le informazioni sulla comunità cristiana colà residente si diradano e cessa anche la lista dei suoi vescovi. Essa si riaprirà al tempo della prima crociata (1100), con l’erezione del vescovato latino di Tarso.

NOTE DI VIAGGIO

COME CI SI ARRIVA
A fianco della città di Tarso passa la E24 e una moderna autostrada che da Mersin va verso Adana.

Distanze:
da Adana km 42
da Ankara km 453
da Mersin km 28

Provincia: Mersin
Aeroporto: Adana

LUOGHI E MONUMENTI INTERESSANTI
La Porta romana, conosciuta comunemente con il nome di Porta di Cleopatra, ma anche con il nome di Porta di San Paolo, conserva ancora la solida struttura portante.
La Kilise Camii, sorta come chiesa armena dedicata a San Pietro, fu trasformata in moschea nel XV sec.
Il Pozzo di San Paolo. Un pozzo di origine romana, che un’antica tradizione chiama pozzo di san Paolo perché sorgeva nella zona giudaica della città.
L’Ulu Camii (Grande Moschea), costruita nel XVI sec. sul luogo dove sorgeva la cattedrale della città, dedicata a san Paolo.
Tratto di strada romana al centro della città, casualmente venuto alla luce qualche anno fa, per scavi di fondazione di un palazzo.
Chiesa di San Paolo, recentemente restaurata ad uso dei pellegrini cristiani, nella sua forma attuale (intonaco, dipinti, inastasi…) risale alla fine del 1800 su un più antico edificio di chiesa armena, forse di epoca crociata.

FONTI STORICHE

II CIDNO È IL FIUME DI QUESTA POTENTE CITTÀ
La Città di Tarso giace in una pianura. Le scorre nel mezzo il Cidno bagnando il ginnasio dei giovani. Come poi le sorgenti di questo fiume non sono molto lontane dalla città e la sua corrente vi entra subito dopo aver passato uno scosceso burrone, perciò le sue acque sono fredde e veloci, e giovano a guarire gli uomini e gli animali infermi delle articolazioni. In Tarso vi sono scuole di ogni maniera. È inoltre una città copiosa di abitatori, molto potente e da essere considerata come una metropoli.
(Strabone di Amasea, Geografia, XII, trad. di F. Ambrosoli, Milano 1834)

L’INCONTRO DI ANTONIO E CLEOPATRA A TARSO (41 A.C.)
[Cleopatra] risalì il fiume Cidno su un battello dalla poppa d’oro, con le vele di porpora spiegate al vento. I rematori lo sospingevano contro corrente, vogando con remi d’argento al suono di un flauto, cui si accompagnavano zampogne e liuti. Essa era sdraiata sotto un baldacchino trapunto d’oro, acconciata come le Afroditi che si vedono nei quadri, e una frotta di schiavetti, somiglianti agli Amori dipinti, ritti ai due lati le facevano vento. Allo stesso modo anche le più formose delle sue ancelle, in vesti di Narcisi e Grazie, stavano alcune sopra la sbarra del timone, altre sui pennoni. Profumi meravigliosi si spandevano lungo le rive al passaggio della nave, levandosi dall’incenso che sovente vi veniva bruciato. Gli abitanti o l’accompagnarono fin dalla foce, risalendo il fiume sulle due sponde, oppure scesero dalla città per assistere al suo passaggio.Antonio, seduto sul tribunale, rimase solo nella piazza, tanta fu la folla che uscì incontro alla regina; e fra tutta quella gente corse una voce, che Afrodite veniva in tripudio a unirsi a Dioniso per il bene dell’Asia. Antonio mandò a invitarla a pranzo, ma ella gli chiese di venire lui da lei. Antonio desiderò subito dimostrarle la sua accondiscendenza e grande cordialità: ubbidì e vi andò. Gli addobbi che trovò nella sala sono superiori a ogni descrizione; ma soprattutto lo colpì la quantità straordinaria di luci che vi ardevano. Sappiamo infatti che tante ve ne erano in ogni dove, quale deposta a terra, quale appesa al soffitto, e che erano ordinate con tali inclinazioni e disposizioni l’una in rapporto all’altra, formando qui una specie di quadrato, là di cerchio, che pochi altri spettacoli meritarono di essere visti più di quello.
(Plutarco di Cheronea, 50-120 d.C., La vita di Antonio, in Le vite parallele, trad. di C. Carena, Torino 1958)