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PESSINUS oggi BALLIHİSAR FondaPessinunteta intorno al 1000 a.C. dai Frigi, la città conobbe una certa notorietà per il suo tempio a Cibele, la dea madre, che richiamava i pellegrini da tutta l’Anatolia e portava ricchezza e benessere. Di questa antica città oggi restano poche testimonianze, situate vicino all’odierno villaggio di Ballıhisar: qualche resto del tempio di Cibele, rovine del Teatro (o Odeon) e dell’acropoli.

Situata presso le falde del monte Dindimo e non distante dal fiume Sangario, la città di Pessinunte costituì un crocevia importante di strade che la legavano ad Ancira, a Dorileo, ad Archelais Colonia.
 La sua fama era principalmente legata al culto della Magna Mater Cibele il cui idolo di pietra si riteneva fosse venuto dal cielo.  Sede principale dei Galli Tolistobogi fu centro commerciale importante. Strabone ne parla come di un emporio di quanti abitano nella regione (Geografia, XII). Eppure la sua fama era principalmente legata al culto della Magna Mater Cibele il cui idolo di pietra si riteneva fosse venuto dal cielo. L’esistenza di un famoso santuario a Pessinunte giustifica l’interesse dei re di Pergamo che abbellirono città, tempio e portici di marmi bianchi (Strabone, Geografia, XII). Il carattere di città-santuario lascia intendere perché l’autorità fosse concentrata nelle mani dei sacerdoti della dea chiamati Galli. A costoro era demandato il culto tanto di Cibele che del suo giovane consorteAttis. Secondo il mito questi, costretto a castrarsi per impedire che appartenesse ad altri che a Cibele, finì poi ucciso da un cinghiale.
Durante le guerre puniche, il simulacro della dea fu trasferito a Roma per comando dei libri sibillini.  Non è difficile ravvisare in questi due personaggi delle personificazioni del principio della fecondità. Cibele, venerata come signora della natura e protettrice del suo popolo, in Anatolia era pure venerata assieme adAttis, come custode delle tombe. Il loro culto comportava perciò la fede nell’immortalità. Esso, poi, nelle sue espressioni esterne s’esprimeva in stati estatici e nella insensibilità al dolore. A imitazione di Attis i sacerdoti di Cibele praticavano spontaneamente l’autocastrazione. In questo comportamento si può rav- visare un desiderio di assimilarsi ad Attis, ma pare altresì che il motivo principale fosse quello di possedere una castità assoluta, necessaria per celebrare certi riti con la purezza di un fanciullo o di una vergine.
 Con il trasferimento dell’idolo di Cibele a Roma, Pessinunte vide un calo della sua prosperità  Nel 205-204 a.C., durante le guerre puniche, il simulacro della dea fu trasferito a Roma per comando dei libri sibillini. Questo spostamento incrementò il culto consistente in digiuni e purificazioni, in banchetti rituali e in processioni. Ancora alla fine del IV secolo persisteva il rito purifìcatorio del taurobolio, consistente nello scendere in una fossa chiusa da una grata lasciandosi irrorare dal sangue di un toro che vi veniva sgozzato sopra. Con il trasferimento dell’idolo di Cibele a Roma, Pessinunte vide un calo della sua prosperità. Tuttavia non cessò l’afflusso di pellegrini al santuario della Grande Madre. Tra costoro va ricordato l’imperatore Giuliano l’Apostata che nell’anno 362, dopo il suo passaggio a Pessinunte, ravvivò il culto a Cibele e ad Attis nominandovi una somma sacerdotessa nella persona di Callixena (Lettera 21 di Giuliano) e assicurando ai cittadini di Pessinunte il suo appoggio purché prestassero alla dea il culto che nel frattempo doveva essere un poco scaduto (Lettera 49) [1].
 Gregorio di Nazianzo ricorda che un cristiano ebbe 1’ardire d’abbattere l’altare della dea.  Ancora nel 362 Giuliano tenne a Costantinopoli un discorso sulla Madre degli Dèi che costituisce un buon tentativo d’interpretare il mito di Cibele mediante il metodo allegorico [2]. La prima testimonianza d’una presenza cristiana a Pessinunte risale alla seconda metà del IV secolo. È Gregorio di Nazianzio a parlarci d’una sommossa cristiana contro il tempio di Cibele. Egli ricorda che in questa circostanza un cristiano ebbe 1’ardire d’abbattere l’altare della dea. Citato in giudizio egli vi comparve « come un trionfatore. Se ne infischiava della porpora imperiale e dei suoi discorsi ciarlataneschi e ridicoli (di Giuliano). Poi uscì a dire molto liberamente che aveva commesso ciò dopo una cena abbondante » (Oratio V, 40). Sotto Teodosio I (388-395) la Galazia fu divisa in due province e Pessinunte assurse al ruolo di metropoli e sede prefettizia della Galazia Seconda.Anche da un punto di vista ecclesiastico la spartizione della Galazia accrebbe l’importanza di questa città che nei primi anni del V secolo ebbe quale vescovo un certo Demetrio. Fu lui che nel sinodo della Quercia tenutosi per deporre Giovanni Crisostomo ne assunse le difese (402). Il vescovo Demetrio fu mandato dallo stesso Crisostomo a Roma per ottenere l’appoggio di papa Innocenzo e dovette pagare l’impegno per l’amico con l’esilio.
 Il vescovo Demetrio fu mandato da Crisostomo a Roma per ottenere l’appoggio di papa Innocenzo ma dovette pagare l’impegno per l’amico con l’esilio  Qualche decennio più tardi, tra i suoi successori figura Pio che al concilio di Efeso espresse il suo disaccordo per l’apertura delle sessioni voluta da Cirillo, nonostante l’assenza dei vescovi orientali guidati da Giovanni d’Antiochia (431). Al tempo dell’imperatore Maurizio (582-602) quale metropolita di Pessinunte compare Giorgio. La grave siccità verificatasi sotto il suo episcopato indusse i cittadini di Pessinunte a impetrare con insistenza il dono della pioggia. In questa circostanza essi invitarono alla preghiera Teodoro Siceota, vescovo di Anastasiopoli. Dalla vita di costui apprendiamo che la preghiera fu miracolosamente esaudita e veniamo altresì a conoscere l’esistenza d’una chiesa dedicata a santa Sofìa in città e una chiesa dei Santi Angeli fuori le mura. La storia cristiana di Pessinunte cessa per noi con il nome del suo vescovo Nicola che resse questa Chiesa nel tempo in cui il patriarca di Costantinopoli, Michele Celulario inasprì i rapporti con la Chiesa d’occidente sino a giungere al grande scisma occidentale del 1054.

NOTE DI VIAGGIO

COME CI SI ARRIVA
Sulla E23 che mette in comunicazione Ankara conAfyon, all’altezza dell’incrocio per Eskişehir, c’è sulla sinistra la deviazione che dopo 13 km porta a Ballıhisar.

Distanze:
da Afyon km 133
da Ankara km 149
da Eskişehir km 113

Provincia: Eskişehir
Aeroporto: Ankara

LUOGHI E MONUMENTI INTERESSANTI
Il Tempio della Gran Madre Cibele, famosissimo nell’antichità, ma del quale non restano che poche rovine. Risale probabilmente al X sec. a.C.
Un piccolo Teatro (o Odeon), che sembra formasse un tutt’uno con il tempio.

FONTI STORICHE

BISOGNA RITORNARE AL CULTO DI CIBELE
Io sono pronto a venire in aiuto agli abitanti di Pessinunte purché essi si rendano propizia laMadre degli Dèi (cioè Rhea-Cibele). Se essi la trascurano, essi non meriteranno soltanto un biasimo ma ben di più – ed evito di usare parole troppo dure –: essi potranno gustare il piacere del mio sfavore. « Non m’è permesso di accogliere bene né d’usare pietà per gli uomini che incorrono nell’inimicizia degli dèi immortali ». Dunque, fate loro intendere che se vogliono la mia sollecitudine occorre che tutta la città indirizzi le sue preghiere alla Madre degli Dèi.
(dalla Lettera di Giuliano l’Apostata, Gran sacerdote della Galazia, Lettera 49, trad. di L. Padovese, Roma 1987)

SIGNIFICATO DELMITO DI CIBELE
II mito insegna a noi che, celesti per natura nostra, siamo venuti in terra, ad affrettarci a ritornare presso il Dio datore di vita, dopo aver mietuto, nel soggiorno in terra, la virtù e la pietà.Adunque, il segnale del richiamo che la tromba dà adAttis, dopo l’evirazione, lo dà anche a noi che dal cielo cademmo in terra. Se Attis, coll’evirazione, limita l’infinità delle sue cadute, a noi pure gli dèi comandano di evirarci, cioè, di limitare in noi stessi l’infinità materiale, e di tendere all’unità formale e, fin dove è possibile, all’unità essenziale. Che mai di più giocondo, di più ilare di un’anima che fugge dal turbine che in lei solleva l’insaziabilità dei desideri e l’impulso della generazione, e che si innalza agli stessi dèi? E Attis, che era uno d’essi, e che andava più in là di quanto conveniva, non fu abbandonato dalla Madre degli Dèi, che a sé ancora lo volle, e lo fermò nell’infinità delle cadute?
(Giuliano l’Apostata, Discorso sulla Madre degli Dèi, trad. di G. Negri, Milano 1902, 206-207)